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Storia di ieri. La fascistizzazione dello sport a Parma (1926-1929) [ versione stampabile ]

di Filippo Ferrari

Lungi dal costituire un fine, per il fascismo lo sport non fu che un mezzo al servizio dello stato totalitario, dei suoi obiettivi, delle sue esigenze politiche, militari e propagandistiche, della sua magmatica e spesso contraddittoria base ideologica. Da una parte, questa strumentalizzazione rientrava nella politica di formazione e canalizzazione del consenso, dall’altra essa si riferiva necessariamente alle complesse dinamiche sociali che il tempo libero e il fenomeno sportivo sviluppavano nella nascente società di massa. Alle soglie del Novecento, infatti, lo sport divenne l’attività ricreativa più diffusa e popolare, originando sentimenti di partecipazione collettiva impensabili solo pochi anni prima. È in questo contesto che si inserì l’azione del fascismo, volta alla subordinazione dello sport al proprio progetto di costruzione di un’identità nazionale attraverso la mobilitazione delle masse. A Parma, già nel 1925, la propaganda fascista rivolse le sue attenzioni al fenomeno sportivo. Nel 1926 prese avvio quel processo che avrebbe condotto, a partire dall’anno successivo, a un’effettiva fascistizzazione dello sport attraverso le organizzazioni del regime. Il 21 agosto 1926 veniva nominato commissario unico del Parma Football Club «il Duce del Fascismo Parmense» (1):
Raul Forti, segretario della Federazione Provinciale Fascista e direttore del «Corriere Emiliano». Il 16 aprile 1927 veniva rilasciato un comunicato con il quale l’amministrazione e la direzione della società sportiva venivano ufficialmente affidate al Fascio di Parma. Era il segno tangibile del controllo che il fascismo esercitava sullo sport parmense: il giorno prima era stato costituito l’Ente Provinciale Sportivo Fascista, l’organo che di lì a poco avrebbe portato, con il Dopolavoro, alla definitiva fascistizzazione dello sport a Parma.

L’Ente Provinciale Sportivo Fascista

Nell’aprile del 1927 il Direttorio del Fascio di Parma stabilì la costituzione
dell’Ente Provinciale Sportivo Fascista, con l’intento di porre sotto il diretto controllo del regime l’organizzazione sportiva locale. Il nuovo Ente aveva una funzione di propaganda, volta da una parte alla creazione di nuclei sportivi dove non esistessero, dall’altra alla diffusione di pratiche sportive poco conosciute (2). In più, esso era chiamato a instaurare un vero e proprio «controllo politico» sullo sport, contribuendo all’organizzazione di manifestazioni e migliorando gli impianti.

La prima iniziativa dell’Ente Provinciale Sportivo Fascista fu quella di contribuire all’organizzazione dell’annuale torneo calcistico per squadre di circoli, bar e caffè. Si trattava di una manifestazione a carattere popolare il cui scopo non era certo quello di esaltare le ineccepibili doti tecniche dei partecipanti: «la grande parata delle schiappe», come spesso veniva definito il torneo, forniva piuttosto a quanti fervevano per le imprese dei loro beniamini l’occasione per cimentarsi in una competizione sportiva. Essa riscuoteva un così grande successo che, ogni anno, l’annuncio della Coppa metteva «a rumore tutte le schiappe appassionate e a soqquadro tutti gli esercizi pubblici cittadini» (3). Proprio per questo motivo, le organizzazioni fasciste cercarono a più riprese di appropriarsene, sfruttandone la popolarità come mezzo per penetrare tra le masse.

Nel luglio del 1927 l’Ente Sportivo, in collaborazione con la stampa della città, decise di fornire il proprio appoggio all’iniziativa. Era la prima avvisaglia di una vera e propria fascistizzazione dell’evento, che sarebbe arrivata due anni più tardi con la trasformazione della popolare gara calcistica in un banco di prova per il nuovo gioco della «volata»: esso consisteva in una sorta di ibrido tra il calcio e la palla a muro, creato dai dirigenti fascisti del Dopolavoro nel tentativo di dar vita a una pratica sportiva che potesse rappresentare un’alternativa al football, gioco di importazione inglese e, quindi, non congeniale allo spirito italiano, romano e fascista (4).

Il 29 dicembre 1928 il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma» definiva la volata «un nuovo sport» che «sta per introdursi nella vita nazionale» (5), un gioco che «si ispira ai classici dettami dell’antico gioco italiano della palla al calcio» (6).

Circa dieci giorni dopo, il segretario della Federazione Provinciale Fascista Remo Ranieri diramava un comunicato nel quale si augurava che «le società sportive dopolavoristiche della città e della provincia [avrebbero voluto] senz’altro iniziare le istruzioni e gli allenamenti per la costituzione delle squadre che [avrebbero dovuto] gareggiare in questo gioco fascista ed italianissimo» (7).

Nel luglio del 1929, «l’epoca meglio adatta per introdurre questo nuovo gioco destinato a diventare poi il… pane abituale delle masse dopolavoristiche» (8) era giunta: il tradizionale torneo di calcio per squadre di caffè e bar diveniva così la prima competizione parmense di volata. Nonostante l’impegno del Dopolavoro e dell’Ente Sportivo Fascista, tuttavia, l’esperimento non fu molto felice: l’anno successivo il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma» ricevette la lettera di un appassionato che si chiedeva che fine avesse mai fatto la volata. «Dopo un brillante inizio nella nostra città», sosteneva «lo sportivo fascista», «l’italianissimo gioco ha subito un rilassamento pauroso, tanto che ora non se ne parla più» (9). In effetti, in quel 1930 il torneo non venne disputato, forse a causa della soppressione, pochi mesi prima, dell’Ente Sportivo.

Nel luglio del 1931 il Dopolavoro Provinciale fece comunque un altro tentativo, patrocinando con il «Corriere Emiliano» il torneo estivo di volata. A un mese dall’indizione, tuttavia, la società dovette comunicare la sospensione dell’evento poiché non fu raggiunto il numero di squadre previste dal regolamento (10)
solo quattro erano, infatti, quelle iscritte. Un vero e proprio fallimento, insomma, a partire dal quale il fascismo ritenne più opportuno tornare al calcio. Così, nel 1932 il circolo “Michele Bianchi” organizzò «un torneo di calcio a carattere folcloristico, detto Palio di Parma» (11) per squadre di «rioni», bar, caffè e circoli. In questo caso, il fascismo cercò di conferire alla manifestazione un carattere tradizionale di stampo medievale: il regime, in effetti, alimentò la ripresa di feste e tradizioni popolari attraverso una vera e propria strumentalizzazione propagandistica di elementi folclorici medievali con il fine di rinsaldare il sentimento patriottico e la coscienza nazionale (12).

Tuttavia, era pur vero che il football e il torneo calcistico parmense per squadre di trattorie e ristoranti c’entrassero poco o niente con il passato medievale. Essi costituivano piuttosto un segno di modernità, non solo perché rappresentavano una valida testimonianza di quanto fosse cresciuto il fenomeno sportivo nella società italiana, ma anche perché divennero, nel quadro della nascente società di massa, uno dei primi veicoli sportivi di cui la pubblicità iniziò a servirsi per raggiungere un pubblico sempre più vasto. Il torneo estivo di calcio o di volata era, di volta in volta, la Coppa “Birra Wuhrer”, “Cocchi”, “Martini e Rossi”, “Distillerie Frassinetti”. Il Palio di Parma, dunque, non ebbe un gran successo, tanto che negli anni successivi né la stampa né gli organi fascisti si occuparono della manifestazione: l’appropriazione e la fascistizzazione di un evento sportivo dal carattere eminentemente popolare come il trofeo di calcio per squadre di bar e caffè, iniziata nel luglio del 1927 sotto gli auspici dell’Ente Provinciale Sportivo Fascista, falliva miseramente soltanto cinque anni più tardi.

Al di là della «parata delle schiappe», nel 1927 l’attività dell’Ente fu tutt’altro che produttiva. Quasi nulle furono le iniziative nel campo del podismo e del ciclismo (13), mentre la progressiva diffusione della boxe tra la fine del 1927 e il 1928 non fu dovuta all’opera dell’Ente, ma all’iniziativa dell’Accademia Pugilistica “Filippo Corridoni”, la società che per prima era riuscita ad attrezzare una palestra in grado di ospitare incontri di pugilato (14). La diffusione La fascistizzazione dello sport a Parma. 1926-1939 109 dello sport era inscindibilmente legata alla disponibilità di strutture sportive e, a dispetto delle ridondanti dichiarazioni di principio, l’Ente Sportivo fece ben poco per migliorare una situazione che a Parma era quasi disastrosa. Due anni più tardi, l’Ente Provinciale Sportivo Fascista non era ancora riuscito a cambiare le cose. Se nel 1927 la sua attività era stata poco produttiva, l’anno successivo essa fu, di fatto, inesistente. Nel 1928, infatti, l’unica attività dell’Ente fu quella di promuovere lo sport del trotto (15). Tutto sommato, non molto se si considerano gli ambiziosi progetti di partenza. Era evidente che per rendere più proficuo ed effi
cace l’intervento fascista occorreva apportare dei significativi cambiamenti nell’organizzazione sportiva locale. Così, conseguentemente alla promulgazione della “Carta dello Sport” (il documento che stabiliva i compiti attribuiti ai vari organi sportivi regolando i rispettivi campi d’azione), il 30 dicembre 1928 il segretario della Federazione Provinciale Fascista Remo Ranieri assunse il comando dell’Ente Sportivo anticipando, di fatto, la sua soppressione. Le nuove direttive del movimento sportivo provinciale prevedevano che le organizzazioni fasciste mantenessero prevalentemente «un’azione di controllo e di coordinamento» (16), contribuendo al miglioramento di una situazione che si presentava, nelle parole di Ranieri, «né rosea, né lieta» (17): secondo il segretario federale, nel campo degli sport atletici «scarsissime» erano state «le gare organizzate, pochi gli elementi federati, pochissimi gli atleti scesi in campo nel nome di Parma nelle gare regionali e nazionali. […] Nulla o quasi l’attività schermistica» (18). Meglio poi non parlare «del nuoto, due gare in un anno, delle società di tiro a segno che dormono purtroppo di un sonno profondo […]; dei ginnasti che non esistono, dei podisti, dei lottatori che non si conoscono» (19).

Era necessario, insomma, correre ai ripari e il fascismo intendeva farlo attraverso la creazione di un nuovo ordinamento sportivo che accentrasse sempre di più le funzioni direttive del movimento provinciale: come la politica, anche l’organizzazione dello sport, nel quadro di un’ossessiva centralizzazione e nello stesso tempo di un’esasperazione del controllo sociale, avrebbe dovuto uniformarsi con obbedienza a un solo scopo, a un’unica ragion d’essere. Così, da quel momento in avanti «tutte le manifestazioni [avrebbero fatto capo] alla Segreteria Federale» (20).

Gli effetti di questi cambiamenti non tardarono a farsi sentire: tra il gennaio e il marzo del 1929, l’Ente Sportivo Fascista fece registrare un’intensa attività di promozione e organizzazione di eventi legati allo sci.

Il 27 gennaio 1929 l’Ente Sportivo organizzava la prima competizione sciistica della provincia con il concorso delle associazioni alpinistiche parmensi: alle gare di Marzolara furono più di settanta i partecipanti, provenienti non solo da società sportive, ma anche da gruppi militari.

Dato il successo di questa riunione, tra gennaio e febbraio si svolsero altre manifestazioni sciatorie a Salsomaggiore, Borgotaro e Corniglio (21). L’attività dell’Ente tornò tuttavia a essere piuttosto scarsa nei mesi successivi: da una parte, l’organizzazione della prima competizione parmense di sci rimase, di fatto, la sua conquista più grande, dall’altra l’Ente non fu in grado di promuovere altre discipline. Nonostante lo stesso Turati avesse invitato gli Enti Sportivi Provinciali a dedicare una cura particolare e una speciale attenzione alle discipline atletiche (22), l’Ente non organizzò eventi di rilievo e la stampa locale continuava a lamentarsi della centralità del calcio (23).

Di fatto, l’Ente Provinciale Sportivo Fascista aveva pienamente fallito il suo mandato. Il 4 gennaio 1930 Augusto Turati inviava a tutti i segretari federali del partito fascista una circolare con la quale disponeva la cessazione delle attività degli Enti Sportivi. Dopo meno di tre anni, l’organizzazione che aveva dato avvio alla fascistizzazione dello sport a livello provinciale veniva soppressa: le sue funzioni vennero affidate ai segretari federali per completare quel processo di centralizzazione dell’ordinamento sportivo iniziato nel 1929 e «per continuare», come tenne a precisare il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», «quell’opera di disciplina, di propaganda e di aiuto che è stata fino ad oggi svolta dagli enti sportivi con tanta efficacia di risultati» (24). In realtà, secondo quanto ebbe a sostenere lo stesso Turati in quella circolare, questi organi potevano ormai «considerarsi superati» (25).

Il Dopolavoro

Per un diretto intervento del Dopolavoro nell’organizzazione di manifestazioni ed eventi per la propaganda dello sport tra le masse, si dovette attendere il 1928, quando, a fronte della modesta attività dell’Ente Sportivo, il «campionato dopolavoristico provinciale» segnò l’inizio di una nuova fase della fascistizzazione dello sport.

Nel settembre del 1928, in effetti, il Dopolavoro organizzò la gara ciclistica a squadre Parma-Salsomaggiore. Si trattava della prima manifestazione sportiva di propaganda organizzata da un’istituzione fascista. Nelle intenzioni dei dirigenti fascisti, la Parma-Salsomaggiore o, come venne altresì definita la corsa, il «campionato dopolavoristico provinciale », avrebbe dovuto segnare una svolta rispetto ai precedenti tentativi di «rigenerazione sportiva», poiché costituiva una «sana manifestazione di propaganda» (26) il cui «significato ultimo» era quello di «una rinascita o meglio di una creazione (perché un vasto movimento ciclistico a Parma non c’è mai stato) di una vera campagna in favore del ciclismo» (27).

La corsa intendeva «solo richiamare al lavoro le sopite energie giovanili» (28) e ciò che più interessava alle gerarchie fasciste non erano tanto «i valori individuali » (29) quanto «la prova della massa: la gara popolare, che ha raccolto un lotto imponente di partecipanti » (30). In effetti, alla chiusura di una stagione ciclistica poco confortante, «due centurie» di concorrenti costituivano un discreto successo. Finalmente «l’organizzazione del Dopolavoro si [era] affermata vigorosamente anche nella nostra provincia» (31).

Secondo la “Carta dello Sport”, per atletica leggera, atletica pesante, nuoto e sci, il Dopolavoro avrebbe dovuto limitare la sua azione di propaganda all’istituzione di speciali brevetti (32). Per quanto riguarda l’atletica, il Dopolavoro organizzava effettivamente ogni anno concorsi ginnici e grandi «adunate » per l’assegnazione dei brevetti atletici che, per lo più, avevano lo scopo dichiarato di attrarre allo sport «il maggior numero di individui» (33) possibile: nell’agosto del 1929, ad esempio, attraverso «l’adunata per i brevetti atletici del Dopolavoro» (34) «Parma e soprattutto la provincia [stavano] dimostrando tangibilmente la propria maturità sportiva uniformandosi ai bisogni dello sport nazionale. Che sono di propaganda in estensione; bisogna creare le grandi masse di praticanti» (35). Nel 1930, il Dopolavoro organizzò una «staffetta popolare» di podismo il cui successo fu tale da eguagliare la gara ciclistica Parma-Salsomaggiore: centoventi podisti e la partecipazione di squadre provenienti da Lucca, Piacenza e Modena conferirono alla «staffetta popolare» un’importanza che «supera[va] i confini della ristretta cerchia provinciale » (36). Nei mesi successivi, tuttavia, nonostante le direttive del segretario federale, l’impegno del Dopolavoro per la promozione dell’atletica non si dimostrò sufficientemente consistente. La sua attività era anche limitata dalla mancanza di strutture adeguate. Riunioni atletiche o più in generale manifestazioni sportive che avrebbero dovuto svolgersi in uno stadio moderno, mostravano quanto indietro fosse ancora Parma in fatto di impianti e, di conseguenza, quanto poco avessero fatto sino a quel momento sia l’Ente Sportivo che il Dopolavoro, a cui venne per altro affidata la gestione del campo sportivo comunale a partire dal 2 luglio 1931. All’infuori di poche grandi manifestazioni di propaganda, il Dopolavoro non fu in grado di elaborare un programma concreto di sviluppo di sport alternativi rispetto al football. Nonostante fosse «lo sport popolare per eccellenza» (37), come a più riprese cercò di sottolineare il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», dal momento che non richiedeva altro che «una maglietta, un paio di mutandine e, ma non è di tutti, un paio di scarpette» (38), il podismo rimaneva «negletto e dimenticato» (39) come, più in generale, l’atletica.

Le grandi adunate per la propaganda dello sport tra le masse che caratterizzavano questa seconda fase della fascistizzazione dello sport, in ogni caso, non erano limitate al podismo e all’atletica. Nel gennaio del 1935 il Dopolavoro organizzò a Marzolara una «giornata della neve» che prevedeva diverse gare per il conseguimento dei brevetti sciatori. Come detto, fu l’Ente Sportivo Fascista a organizzare, nell’inverno del 1929, le prime competizioni sciistiche della provincia; a partire da quell’anno, lo sci conobbe uno sviluppo ragguardevole (40) che si concretizzava nell’organizzazione di manifestazioni di “massa” come i campionati provinciali o giornate sciatorie di vario tipo. Quando nel 1930 fu soppresso l’Ente, furono il Dopolavoro e la Federazione Provinciale Fascista a raccoglierne l’eredità, promuovendo uno sport che si adattava perfettamente allo «spirito dell’italiano nuovo» (41). Così grande fu la crescita dello sci nei primi anni Trenta che non solo nel 1932 si costituì lo “Sci Club Parma”, ma nel novembre di quello stesso anno il «Corriere Emiliano» ebbe anche a sostenere che «dopo lo sviluppo più notevole riportato dallo sport dello sci nella nostra provincia, si rende[va] oltre modo necessario l’allestimento di un campo invernale» (42). Nel gennaio del 1933, dopo circa un mese di lavori, il campo invernale di Schia era una realtà: almeno in questo ambito qualche progresso era stato raggiunto. La giornata di inaugurazione della nuova «palestra» (43), «una realizzazione fascista che merita[va] la consacrazione di tutte le forze sportive del fascismo parmense» (44), segnò «una nuova conquista per lo sport locale» (45), dal momento che grazie a essa lo sci usciva «da uno stato di incertezza per contare sull’adesione della massa perché gli sport della neve debbono essere sport per la massa e della massa» (46). L’interesse del Dopolavoro nei confronti dello sci nasceva dal carattere spiccatamente turistico di manifestazioni come quelle che si svolgevano a Schia. Già nel 1931, l’Automobile Club di Parma in collaborazione con la sezione locale del Club Alpino Italiano aveva indetto e organizzato un raduno autosciatorio per «valorizzare le stazioni di sport invernale in relazione all’impiego dell’automobile» (47). Del resto, in quello stesso anno anche il campionato automobilistico provinciale organizzato dall’Automobile Club non ebbe «nulla a che vedere col meccanismo delle grandi gare […] dov’è impegnata l’industria di una nazione» (48): si trattava, infatti, di una «prova tipicamente parmense» (49) il cui scopo era di carattere «puramente sportivo e turistico» (50). Naturalmente non erano in molti a potersi permettere di partecipare a una rassegna turistica di stampo automobilistico, dal momento che negli anni Trenta l’automobile non arrivò mai a popolarizzarsi, rimanendo di fatto un bene elitario e accessibile a pochi.

Ancor più che le riunioni sciistiche, le attività ciclo-turistiche rappresentavano l’occasione ideale per organizzare eventi sportivi il cui scopo fosse quello di radunare il maggior numero di persone possibile con precisi intenti propagandistici e nazionalistici. Nell’ottobre del 1929, ad esempio, il Dopolavoro di Parma organizzò il secondo campionato ciclo-turistico a squadre di Fidenza, raccogliendo più di duecento adesioni. Lo scopo dichiarato di queste manifestazioni era ovviamente quello di «divulgare la passione per la bicicletta fra le masse» (51). Ciò che più premeva al fascismo era evidentemente la mobilitazione delle masse in funzione della sua politica di formazione e canalizzazione del consenso: l’elemento preponderante nel «chiamare a raccolta tutti i possessori di una bicicletta» (52) stava nella possibilità di «inquadrare» tutti coloro che partecipavano nell’organizzazione fascista del tempo libero.

Per tutto il corso degli anni Trenta, le riunioni cicloturistiche per il conseguimento dei brevetti furono tra le principali manifestazioni sportive organizzate dal Dopolavoro. Nel 1932, addirittura, il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma» sosteneva che il raduno di Tizzano di fine agosto avesse avuto un’importanza superiore alle Olimpiadi di Los Angeles (53).

Con riferimento al nuoto, la situazione dello sport a Parma era davvero poco confortante. Naturalmente, la carenza di impianti sportivi era, a riguardo, un aspetto determinante. L’unica piscina della città era quella dei “Bagni Pubblici” il cui edificio, inaugurato il 22 ottobre del 1905, era destinato a una vita piuttosto breve: sul finire degli anni Trenta, infatti, esso fu adibito a sede dell’Opera Nazionale Dopolavoro che, pur rimaneggiando sia l’esterno che l’interno, mantenne in funzione la piscina (54).

Questo non portò, in realtà, a un incremento delle attività sportive legate al nuoto che, perlopiù, continuarono a essere limitate alle rare manifestazioni patrocinate  dal Dopolavoro. La situazione non cambiò quando, nell’ottobre del 1934, venne inaugurata la “Casa del Balilla”, la cui parte sportiva comprendeva una palestra, una sala da scherma, un campo di gioco e una piscina a cui erano persino annesse delle tribune (55): l’Opera Nazionale Balilla (ONB) non si fece mai promotrice, infatti, di vere e proprie manifestazioni natatorie di propaganda o «di massa», per usare un’espressione cara alla retorica fascista. Essa si occupava esclusivamente dell’educazione fisica dei giovani dai sei ai diciassette anni e le poche «competizioni agonistiche» indette dall’ONB si riducevano agli annuali saggi ginnici riservati a studenti delle scuole elementari e medie. Del resto, il suo obiettivo primario non consisteva tanto nel promuovere attività dal carattere prettamente sportivo, quanto nel provvedere all’istruzione premilitare dei suoi iscritti (56). Se, da una parte, l’ONB costituiva l’organizzazione che si occupava dell’irreggimentazione della gioventù attraverso la fascistizzazione dell’educazione fisica nelle scuole, dall’altra essa non poteva considerarsi un istituto volto ad alimentare a livello provinciale la febbre nello sport, ciò per cui era stato creato l’Ente Sportivo Fascista e, fallito questo, ciò che costituì l’impegno prioritario del Dopolavoro, dei Gruppi Universitari Fascisti e dei Fasci Giovanili di Combattimento.

I Gruppi Universitari Fascisti

Ancora nel 1925 e nel 1926 le partite di calcio tra facoltà dello stesso ateneo o contro squadre degli istituti superiori rappresentavano la sola pratica sportiva esercitata dagli studenti dell’Università di Parma. Il fascismo aveva tutta l’intenzione di alimentare anche tra i goliardi la febbre sportiva, da un lato occupandosi della diffusione di sport ancora poco conosciuti come, ad esempio, il rugby o il tennis (57), dall’altro promuovendo grandi manifestazioni come i Littoriali dello Sport, con il conclamato fine di creare «una massa robusta resistente ad ogni fatica: capace di vincere in pace e in guerra e di offrire la certezza della perpetuazione di una razza gagliarda» (58).

Parte dell’attività dei Gruppi Universitari Fascisti venne pertanto rivolta alla popolarizzazione di pratiche sportive che ancora alla soglia degli anni Trenta avevano raggiunto a Parma una diffusione piuttosto scarsa: tra queste, il rugby ricoprì certamente un ruolo di primo piano per il notevole rilievo che esso assunse nel quadro della vita sportiva cittadina. Nell’ottobre del 1927, la «Gazzetta di Parma» definiva con rammarico il rugby «uno sport sconosciuto »
(59) per il quale gli italiani provavano, contrariamente a quanto succedeva nelle più importanti città europee, una spietata indifferenza. Circa un anno più tardi, precise necessità propagandistiche avevano spinto «La Fiamma» a porre la questione in termini differenti: il rugby rappresentava ora «uno sport maschio» (60) o, come lo aveva definito Lando Ferretti, «un nuovo potente mezzo di miglioramento fisico e di rafforzamento spirituale della nostra gioventù » (61). Presto, insomma, esso sarebbe divenuto lo sport del fascismo (62).

In effetti, nel corso degli anni Trenta il rugby costituì una parte rilevante dell’attività sportiva dei GUF, indirizzata non soltanto verso una dimensione prettamente locale, ma anche verso traguardi di più ampio respiro nazionale. Tali furono i risultati ottenuti in questo ambito sportivo, che nella sua relazione alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico 1934-1935, il segretario del gruppo universitario faceva «particolare menzione […] della squadra del Rugby che sebbene all’inizio della sua attività ha saputo conquistare il primato del proprio girone»
(63). L’anno successivo, il GUF di Parma diveniva campione italiano di prima divisione, giungendo a eguagliare la popolarità del Parma Football Club e conquistando una vittoria che sarebbe senz’altro entrata a far parte dei «superbi primati del fascismo parmense» (64). Un risultato ancor più ragguardevole fu raggiunto tre anni più tardi quando, nella stagione 1938-1939, la squadra del GUF disputò il campionato di Divisione Nazionale: il rugby era divenuto ormai una tra le più importanti attività sportive della città al punto che nel programma della cerimonia inaugurale dell’anno accademico, nel novembre del 1938, venne inserita una partita allo stadio “Walter Branchi” tra il GUF di Parma e l’Amatori di Milano a cui assistette anche il vice segretario nazionale dei GUF in rappresentanza di Achille Starace (65).

Certo, il Gruppo Universitario Fascista dovette continuamente fare i conti con strutture sportive inappropriate e insufficienti per sostenere gli ambiziosi progetti che ne caratterizzavano l’attività. In una lettera al Rettore dell’Università di Parma scritta il 26 giugno 1939, il segretario del GUF lasciava chiaramente intendere, ad esempio, come la pratica del tennis e della pallacanestro fossero strettamente subordinate alla costruzione di un’attrezzatura adeguata
(66). Per quanto riguarda la pallacanestro, le organizzazioni fasciste avevano fatto ben poco per favorirne la diffusione. All’infuori della sporadica attività del Gruppo Universitario, limitata per altro alla preparazione dei Littoriali attraverso l’intervento di elementi esterni, la pallacanestro a Parma rimase completamente estranea alla febbre sportiva. Diverso fu invece il caso del tennis, per il quale la stampa fascista cercò di alimentare una continua propaganda e i GUF si impegnarono nel tentativo di farne uno sport popolare tra gli studenti. D’altra parte, lo stesso Mussolini, primo sportivo d’Italia, giocava a tennis (67) ed era quindi necessario seguirne l’esempio.

La p
rima competizione tennistica di Parma venne organizzata nel giugno del 1931 sui campi del Tennis Club San Leonardo: si trattava di «un fatto nuovo nell’attività sportiva parmense» (68), dato lo scarso sviluppo raggiunto da questo sport. L’anno successivo, il «Corriere Emiliano» si riprometteva di seguire le gare del secondo campionato  sociale del Tennis Club, proseguendo nel suo intento di propagandare un’attività sportiva «assai limitata nel nostro pubblico» (69). In quell’occasione, gli iscritti furono circa venti, tra cui sette «signorine». Ben altra cosa rispetto alle due «centurie» di partecipanti della prima grande manifestazione organizzata dal Dopolavoro nel 1928. Rimaneva comunque positivo il fatto che al campionato di tennis avesse partecipato anche un certo numero di ragazze, dal momento che il fascismo cercò a più riprese di incoraggiare l’attività sportiva femminile. Peraltro, la propaganda fascista cercò nello stesso tempo di sfatare il luogo comune secondo cui il tennis sarebbe stato «un gioco per signorine o per giovani eleganti di professione» (70): al contrario, esso avrebbe dovuto essere considerato «un esercizio virile, sano, completo» (71). Tuttavia, mentre riuscì a rendere la «pallaovale» uno sport piuttosto popolare creando una squadra estremamente competitiva a livello nazionale e «sorretta perfino dall’entusiasmo della cittadinanza» (72), il GUF non poteva certo affermare di aver raggiunto gli stessi risultati con il tennis: se questo gioco «sta[va] diventando sport di massa» (73) e «sport per tutti» (74) in diverse città della penisola, a Parma non rimaneva che un semplice «sogno di tanti giovani» (75). E, segnatamente, «la causa della sua impopolarità [era] la mancanza di campi» (76).

L’attività del Gruppo Universitario Fascista, ad ogni modo, non era limitata alla promozione dipratiche sportive come il rugby o il tennis. Comeebbe modo di sostenere il suo segretario nel 1939,il GUF si occupava «in maniera particolare dell’attivitàsportiva della massa dei Fascisti Universitari con manifestazioni a carattere propagandistico»
(77). Nel marzo del 1928, ad esempio, il GUF organizzò una riunione atletica di propaganda che prevedeva gare di salti, lanci e corse mentre nel 1931 esso istituì un torneo schermistico per il titolo di campione provinciale di fioretto, spada e sciabola che si sarebbe disputato nelle sale del ridotto del Regio (78). Al di là di manifestazioni di questo tipo, ciò che più caratterizzava la propaganda dello «sport di massa» erano gli Agonali e, soprattutto, i Littoriali dello Sport, vero e proprio culmine dell’attività sportiva dei Gruppi Universitari Fascisti (79).

Gli Agonali dello Sport, istituiti nel 1935, rappresentavano una serie di gare tra facoltà dello stesso Ateneo con lo scopo di diffondere la «necessaria propaganda e preparazione di massa»
(80) tra gli studenti universitari, dal momento che soltanto i migliori avrebbero partecipato ai Littoriali. Nella maggior parte dei casi, queste manifestazioni non costituivano semplicemente una competizione sportiva: vere e proprie cerimonie, infatti, sancivano l’inizio e la fine delle gare alla presenza delle più importanti autorità fasciste della città, chiamate a conferire maggiore solennità a formule e riti il cui fine era quello di cementare nei partecipanti lo spirito di appartenenza alla nazione e al regime fascista. Questo intreccio tra sport, nazionalismo e fascismo trovava la sua espressione più completa nella solenne formula del giuramento che i giovani atleti erano chiamati a pronunziare prima di cimentarsi nelle diverse competizioni sportive: «Combatterò per vincere tutte le prove, per conquistare tutti i primati, con il vigore sui campi agonali, con il sapere negli arenghi scientifici, combatterò per vincere nel nome d’Italia. Così combatterò come il DUCE comanda: lo giuro!» (81). Il medesimo giuramento veniva proferito da quanti, superate le selezioni dei Brevetti e dei Prelittoriali, avessero ottenuto l’opportunità di partecipare ai Littoriali dello Sport. Si trattava di una sorta di mini olimpiade goliardica che, ogni anno, coinvolgeva diversi atenei del Paese nella lotta per la conquista della prestigiosa “M nera” (82). Come spiegava l’opuscolo sui Littoriali di Bologna nel 1932, «i Littoriali costituiscono la massima competizione sportiva nazionale degli Universitari Fascisti, e sono istituiti allo scopo di dimostrare, agli italiani e agli stranieri, con quanta cura viene educata, nello spirito e nel corpo, la gioventù dei nostri atenei […]. In tal modo, oltre a offrire alla gioventù una palestra di educazione civile, i Littoriali tendono a favorire lo sviluppo e la graduale diffusione dell’atletismo, come quello che, migliorando  la razza, ne assicura le sorti avvenire» (83).

Nonostante l’importanza di Agonali e Littoriali dello Sport, i Gruppi Universitari Fascisti non limitavano la loro partecipazione a manifestazioni di carattere locale o nazionale. In effetti, esistevano importanti eventi sportivi di rilievo internazionale per gli studenti, ad esempio le olimpiadi universitarie, e in questi casi anche il GUF di Parma era chiamato a mostrare con quanta cura venisse educata la gioventù fascista nello spirito e nel corpo. Invitato a fornire l’adesione dell’Università di Parma alla Prima Olimpiade Mondiale Universitaria di Roma, nel novembre del 1925 il Rettore plaudeva alla nobile iniziativa che sarebbe valsa, non ne dubitava, «la riconfermazione nel mondo della giovinezza italica così nel campo delle competizioni sportive come già nelle arti e nelle scienze» (84). Anche i giochi universitari, nelle intenzioni dei dirigenti fascisti, sarebbero stati strumenti di affermazione del fascismo nel mondo e avrebbero contribuito, nello stesso tempo, al rafforzamento della «coscienza nazionale» (85). Alle Olimpiadi  Universitarie di Parigi del 1928, per esempio, «lo sport [servì] ancora una volta a difendere l’Italia Fascista» (86): i goliardi italiani, infatti, avevano mostrato al mondo intero non soltanto la grande vitalità sportiva della giovinezza fascista, ma anche la «serenità della forza» (87) del regime, basata sulla decisa volontà del popolo di non subire più offese alla propri (a dignità e sulla compattezza dell’identità nazionale (88).

Talvolta le manifestazioni sportive universitarie divenivano l’occasione per rinsaldare la «coscienza nazionale» attraverso la riesumazione di elementi medievali e folcloristici: il caso dei Giochi di Torino del 1933 è, a riguardo, estremamente significativo.

Nel giugno del 1933 una circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale avvertiva i Rettori delle Università che durante la prima settimana di settembre si sarebbero svolti a Torino i Giochi Universitari Internazionali. Essa disponeva che, per rendere più solenne la cerimonia del giuramento, fossero presenti i gonfaloni degli Atenei d’Italia, scortati dalla gioventù inquadrata nei Gruppi Universitari Fascisti (89). Scrivendo al segretario dei GUF di Parma, il 20 giugno 1933, il vicesegretario dei GUF avvertì che tutte le Università partecipavano alla cerimonia non solo con il gonfalone, ma anche con una rappresentanza di araldi, trombettieri e tamburini in costume medievale (90).

Con una circolare del 7 luglio Achille Starace, segretario del PNF e dei GUF, rendeva noto che tali rappresentanze dovevano essere così costituite: un tamburino, quattro trombettieri con drappelle, due alfieri con bandiere dei colori della città, due uomini d’armi, il paggio maggiore con il gonfalone, fiancheggiato da due valletti e, a chiusura, un numero variabile di paggi
(91). In questo modo, «mentre i rappresentanti della gioventù studiosa di tutto il mondo saranno ammassati nel campo del grandioso stadio “Mussolini”, i Gonfaloni delle Università italiane sfieranno sulla pista, a dare il saluto inaugurale e ospitale ai concorrenti. Saranno così i gloriosi Gonfaloni delle Università millenarie, che ricorderanno quale faro di luce l’Italia sia stata, anche in tempi più oscuri, come saranno i nuovi Gonfaloni delle Università, create dal Fascismo, a testimoniare quanto nel decennale, anche in questo campo, l’Italia del Duce abbia fatto» (92). I «gloriosi Gonfaloni delle Università millenarie» avevano in realtà poco o niente a che fare con il «carosello storico» (93) rievocato nella cerimonia inaugurale dei Giochi di Torino. La continuità storica supposta da Starace tra il passato medievale e l’Italia del Duce era di fatto inesistente. Con una direttiva dell’11 agosto 1933, i GUF di Parma ricevevano le precise istruzioni che le rappresentanze in costume medievale avrebbero dovuto seguire nell’esecuzione della cerimonia del giuramento (94). Si trattava di un vero e proprio rito celebrato, in questo caso, in occasione di un evento sportivo: esso rappresenta indubbiamente un ottimo esempio di come il regime non limitasse l’orchestrazione della liturgia di massa ai riti politici, ma si appropriasse anche di altre sfere della vita collettiva, ad esempio lo sport, piegandole ai propri fini e integrandole nel «culto del littorio» (95). Il rito aveva una duplice funzione: da un lato, era volto ad affermare un senso di identità condivisa, dall’altro era un valido strumento di propaganda (96), rivolto sia verso l’interno che verso l’esterno. La cerimonia inaugurale dei Giochi di Torino avrebbe delineato, secondo la direttiva dei Gruppi Universitari Fascisti, una forte commistione di elementi medievali ed elementi fascisti: lungo la pista dello Stadio “Mussolini”, infatti, accanto alle rappresentanze in costume medievale avrebbero sfiato il Gruppo dei gagliardetti dei GUF e le squadre atletiche in camicia nera; gli alfieri sarebbero stati scortati dal proprio segretario, «in divisa regolamentare» (97); pronunciata la formula del giuramento, «la musica [avrebbe intonato] Giovinezza, mentre, da tutti gli alfieri, [sarebbero stati] ripresi i giochi con le bandiere» (98).

Il 19 agosto il segretario del GUF inviò una lettera al Rettore Luigi Preti in cui rendeva noto che il preventivo per le spese di partecipazione della Rappresentanza di Parma al «carosello storico» ammontava a un totale di 6.456 lire (99): esso comprendeva l’acquisto di 16 costumi, 16 berretti, 2 bandiere, 4 drappelle con i colori della città e il noleggio di 16 parrucche, 16 paia di scarpe, diverse armature e trombe, un tamburo e infine i biglietti ferroviari per Torino (100). Pochi giorni dopo, il Rettore autorizzava l’economo dell’Università a versare la somma richiesta al GUF per il tramite della Federazione Provinciale Fascista. Il 29 agosto, la «Premiata Casa d’Arte» ditta Egisto Peruzzi di Firenze

fornitrice dei costumi per i valletti dei Comuni di Firenze Arezzo Pistoia ecc., della provincia di Pisa, della società Fiorentina del Gioco del Calcio in costume, del D.L. di Arezzo per la rievocazione storica della giostra del Saracino, nonché delle R. Università di Firenze e di Pisa, per cui furono testé allestiti i nuovi costumi per i valletti: venuta a conoscenza della circolare di S.E. il Segretario del PNF relativa ad una rappresentanza in costume storico da istituirsi presso ciascuna Università (101),

si pregiava rendere noto che dietro richiesta dell’Economato della Regia Università di Parma era disposta a inviare un suo incaricato per le trattative  relative alla confezione dei costumi occorrenti per la rappresentazione del «carosello». Così, il «glorioso Gonfalone della Università millenaria» di Parma, con tanto di valletti, trombettieri e alfieri sarebbe stato interamente ricostruito da una «Premiata Casa d’Arte» di Firenze, la stessa che forniva i costumi per riesumazioni storiche di vario tipo, dalla giostra del Saracino al Gioco del Calcio in costume, due fenomeni che certamente non potevano essere considerati tipicamente parmigiani. Di fatto, le rappresentanze in costume erano il frutto di una vera e propria invenzione come, del resto, l’intero carosello storico (102).

A conferma del fatto che si trattava, né più né meno, di una «strumentalizzazione propagandistica » (103) di elementi folclorici destinati a essere mescolati, in questo caso attraverso una manifestazione sportiva dei Gruppi Universitari Fascisti, nel grande calderone del sentimento e dell’identità nazionale.

I Fasci Giovanili di Combattimento

Per quanto i GUF fossero protagonisti di un’intensa attività di organizzazione e promozione sportiva, la loro base sociale rimaneva piuttosto ristretta: la maggioranza dei ragazzi, in effetti, non poteva certo permettersi di iscriversi all’Università. Proprio per ovviare a questo problema vennero istituiti, nel 1930,  i Fasci Giovanili di Combattimento. Essi avrebbero dovuto mantenere vivi i rapporti con quei giovani che, usciti dall’ONB e dalle scuole dell’obbligo, non proseguivano gli studi all’Università
(104). L’inquadramento dei ragazzi dai diciotto ai ventuno anni avrebbe così permesso di posticipare il loro ingresso nel partito (105), provvedendo alla necessaria preparazione fisica e militare dei futuri soldati.

Il Fascio Giovanile di Parma costituì la sua sezione sportiva il 15 gennaio del 1931. Pochi giorni dopo, nel salone della Federazione Provinciale Fascista si svolse il Gran Rapporto dei comandanti dei Fasci Giovanili, durante il quale il comandante provinciale Guerrino Calzolari tracciava le linee della politica sportiva dell’organizzazione che sarebbe presto divenuta il fulcro dell’ordinamento locale. Secondo Calzolari, i Fasci Giovanili avrebbero dovuto dedicare un’attenzione particolare all’atletica, uno sport che giovava «immensamente a creare l’italiano nuovo»
(106). A essa, i comandanti avrebbero dovuto dare ogni impulso in modo che i nuovi figli del fascismo, temprati nel corpo e nella mente, sarebbero stati pronti ad affrontare i più fulgidi destini. Al di là dell’atletica, v’era un altro sport che si confaceva più d’ogni altro allo spirito prettamente «guerriero» dei Fasci Giovanili di Combattimento: si trattava del pugilato. Un’attività, cioè, in grado di fare dell’uomo «un leale, un coraggioso, un generoso, un sincero, un sano di mente e di corpo, un uomo su cui la Patria può contare come per tre» (107). Un’attività, ancora, che poteva materializzare nella mente e nel corpo dei Giovani Fascisti quella spinta rivoluzionaria che aveva generato la nuova Italia, perché «i Fasci Giovanili di Combattimento […] devono saper combattere prima coi cazzotti e poi col manganello. Infine, se necessario, anche col moschetto. E allora vedremmo gli antifascisti e i rinnegati farsi piccoli e timorosi anche di fronte a uno ancor più piccolo dei nostri» (108). In questo senso, il motto «Credere, Obbedire, Combattere» era tutto un programma. Non esisteva certo nessun’altra organizzazione in grado di riassumere in modo più convincente la frase che compariva sul frontespizio della pagina sportiva del «Corriere Emiliano», scritta dallo stesso Mussolini: «Necessaria è l’educazione sportiva e guerriera in Italia, perché durante lunghi secoli le virtù militari del popolo italiano non hanno potuto rifulgere» (109).

A partire dal 1931, dunque, l’attività sportiva dei Fasci Giovanili fu rivolta principalmente all’organizzazione di eventi per la propaganda dell’atletica  e del pugilato, con una fortissima sovrapposizione/subordinazione dello sport alla politica. Lo sport diveniva talvolta parte integrante dei riti della religione fascista e anche i Fasci Giovanili erano chiamati a contribuire alla loro celebrazione: in alcuni casi, ad esempio, eventi prettamente sportivi ricevevano il «crisma ufficiale»
(110), attraverso una forte strumentalizzazione politica e il ricorso a elementi patriotticonazionali. Nel maggio del 1937, i Fasci Giovanili di Combattimento organizzarono al Teatro Reinach un incontro di lotta greco-romana tra le rappresentative di Italia e Germania: un’esibizione dei migliori ginnasti del Paese avrebbe concluso la serata. Nel pomeriggio precedente l’incontro, gli atleti vennero ricevuti dalle maggiori autorità fasciste della città, tra cui il segretario federale, il podestà e il prefetto che li accompagnarono nella visita ai più significativi monumenti nazionali: questi ultimi, infatti, potevano essere considerati come veri e propri simboli della nazione, volti ad alimentarne il culto e l’autorappresentazione (111). Nel febbraio del 1938, il Comando Federale dei Fasci Giovanili, l’organizzazione che aveva trasformato Parma in una «fucina di pugilatori» (112), promosse lo svolgimento dei campionati nazionali dilettanti di pugilato. Il 16 febbraio, il «Corriere Emiliano» affermava che «il pugilato, sport veramente fascista, perché sport di audacia, di coraggio e di lotta generosa trova[va] a Parma l’ambiente ed il clima più adatto alla sua esaltazione» (113). In quello stesso giorno, l’inizio della manifestazione sportiva coincise con l’inaugurazione della casa della GIL (114), nel cui teatro si sarebbero svolti gli incontri. La figura del Duce a cavallo campeggiava sullo sfondo del palcoscenico: cessate le note di “Giovinezza”, il segretario federale «ha elevato con voce squillante il saluto al Re Imperatore ed al Duce al quale la folla ha risposto con un impeto solo. In nome del Duce, primo sportivo d’Italia, i campionati italiani di pugilato […] ricevevano il crisma ufficiale in una calorosa, fervida ed entusiastica atmosfera, quella che caratterizza sempre le belle adunate, le grandi organizzazioni dello sport Fascista » (115). A conferire una maggiore solennità, alle finali dei campionati erano presenti importanti personalità fasciste come il segretario del CONI e il generale Dho in rappresentanza di Starace. Il servizio cinematografico LUCE, infine, filmò «la bella adunata», «la grande organizzazione», con l’intento di propagandare le iniziative, le realizzazioni e l’attività dei Fasci Giovanili di Combattimento (116).

A partire dalla seconda metà degli anni Trenta furono proprio i Fasci Giovanili a rappresentare la principale organizzazione sportiva del movimento provinciale. Le grandi «adunate di massa» che avevano caratterizzato l’attività del Dopolavoro tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, segnando una fase sostanzialmente nuova della fascistizzazione dello sport, divennero l’aspetto più peculiare della loro propaganda sportiva: in effetti, «il concetto fondamentale» sul quale essi basarono la loro attività fu «la propaganda nella massa per l’avviamento di essa alla pratica sportiva»
(117).

Così, secondo i dirigenti fascisti, l’organizzazione sportiva dei Fasci Giovanili, coadiuvata dal Dopolavoro e dai GUF, aveva condotto all’affermazione del «concetto dello sport di massa» che, sottoil segno del Littorio, trovava finalmente «la più felice e completa attuazione» (118). Essa dovette scontrarsi, tuttavia, con le difficoltà che sia l’Ente Sportivo Provinciale, sia l’OND, sia i GUF avevano incontrato: la mancanza di strutture sportive. La realizzazione dell’obiettivo di trasformare gli italiani in ottimi cittadini e soldati facendoli giocare a pallone o tirare di pugilato avrebbe potuto naufragare per la mancata modernizzazione di un tessuto sociale ed economico ancora troppo arretrato. A progetti ambiziosi si contrapponeva la mancanza di impianti, particolarmente evidente nelle realtà privinciali. Città come Roma, Torino, Firenze, Bologna avevano i loro grandi stadi, i loro templi dello sport. Città come Parma, no. Una lacuna, questa, ancor più sentita alla luce della vera e propria mania del fascismo per la monumentalità, per il costruire (119), e della funzione degli stadi intesi non soltanto come meri campi sportivi o teatri di assa, ma come veicoli di propaganda nel tentativo di creare una cultura e una comunità nazionale (120).

Lo stadio «Walter Branchi»: condizioni deplorevoli vs. spirito sportivo fascista

Lo stadio “Ennio Tardini” fu costruito tra il 1923 e il 1924. Già nella primavera del 1924, la crisi e le difficoltà finanziarie della Banca Agraria, di cui Tardini fu presidente, convinsero i dirigenti fascisti a conferire alla struttura un nome più consono ai traguardi della nuova Italia. Essa venne dunque intitolata al martire fascista Walter Branchi, ciò che costituiva un indiscutibile segno di controllo e appropriazione fascista dello sport cittadino.

Lo “stadio” si presentava come una struttura piuttosto rudimentale, privo di tribune e circondato da un anello in terra battuta che avrebbe dovuto rappresentare una pista per le biciclette. Di palestre, ovviamente, neanche a parlarne. La mancata costruzione di una palestra all’interno dello stadio, contrariamente a quanto prevedevano i progetti originari, fece sì che tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta non fosse improbabile vedere calciatori e aspiranti atleti alle prese con le primitive attrezzature della «palestra portatile Magnini»
(121)! Certo, un sicuro successo commerciale, ma un po’ poco sulla via della materializzazione dello spirito sportivo fascista, che era eroismo, ardimento, sacrificio… Per ovviare a questo tipo di problemi, nel novembre del 1928 il Comune acquistò lo stadio “Walter Branchi” dalla Società Immobiliare Parmense, succeduta nella proprietà dello stesso all’Associazione Agraria che era fallita. In quello stesso mese, l’Ufficio Tecnico del Comune presentò un progetto di lavori da eseguirsi nel campo polisportivo «il quale, per l’incuria del precedente proprietario, si trova[va] ridotto in condizioni deplorevoli sia per la sistemazione del terreno e delle strade, che per lo scolo delle acque» (122). Il progetto prevedeva, tra le altre cose, due nuovi campi da tennis e una pista podistica. Il Podestà ritenne più opportuno, tuttavia, limitare l’intervento di sistemazione del campo ai lavori più urgenti (123). Così, almeno per il momento, lo stadio “Walter Branchi” sarebbe rimasto poco più di un prato sconnesso circondato da una “pista” polverosa quasi inutilizzabile: in più, i soli posti a sedere per gli spettatori erano costituiti da minuscole e fragili tribune di legno che, nel 1929, erano state impietosamente abbattute a un vento più violento del solito (124). Significativamente, nel novembre del 1929 il Prefetto scriveva una lettera ai Podestà della provincia, tra cui anche quello di Parma, chiedendo se nei rispettivi comuni esistessero campi sportivi che «per le loro caratteristiche e la loro attrezzatura [meritassero] di essere considerati tali» (125). Mario Mantovani, Podestà di Parma, rispose che nel territorio del Comune esisteva il campo polisportivo “Walter Branchi”: «Non è mai stato definitivamente sistemato, e perdipiù, per molti anni è stato trascurato, per cui presentemente si presta per pochi sport» (126).

Per tutta la seconda metà degli anni Venti e gli anni Trenta il Podestà e il Prefetto si adoperarono perché Parma avesse un moderno impianto sportivo. Inoltre, il segretario del PNF e alcuni tra i più importanti dirigenti fascisti sprecavano regolarmente circolari e direttive sulla necessità di costruire campi e palestre. Perché? Il fascismo fu posseduto da una vera e propria mania per la monumentalità
(127). Essa avrebbe dovuto eternare e perpetuare la sua gloria, fissarla nel tempo attraverso la materializzazione dei miti che ne costituivano il culto (128). Gli edifici fascisti, con la loro grandiosità monumentale, venivano concepiti come parte integrante di questa forma di culto: di più, ne divenivano i templi, templi della fede, «templi del Littorio», i luoghi cioè dove il regime orchestrava i propri riti (129). Come già detto, l’orchestrazione della liturgia fascista non si limitava ai riti politici, ma abbracciava altre dimensioni della vita collettiva, tra cui lo sport (130). Nelle parole del settimanale sportivo di Parma, quest’ultimo costituiva un aspetto tanto importante della vita sociale della nazione «da originare spettacoli imponenti di popolo » (131). I teatri dove si inscenavano tali rappresentazioni di massa erano gli stadi. Per questa ragione, essi non costituivano soltanto sedi di emozionanti partite di football o grandi adunate atletiche, ma altresì assumevano una specifica funzione di propaganda nel quadro di una vera e propria mobilitazione delle masse. Sovente, manifestazioni dal carattere prettamente sportivo erano precedute o concluse, all’interno dei teatri dello sport di massa, da riti e cerimonie dirette ad affermare e rafforzare l’identità nazionale, l’identità fascista: a partire da questi presupposti, anche gli stadi divenivano templi della fede, luoghi della celebrazione del culto del Littorio. E, in questo senso, anche gli stadi avrebbero dovuto concorrere a eternare e glorificare la grandezza del regime fascista: stadi grandiosi, monumentali, moderni, addirittura imperiali; stadi, ancora, dove le masse prima che sportive sarebbero state fasciste.

In un’epoca di febbre sportiva, migliaia di persone confl uivano negli stadi per partecipare a ciò che si stava trasformando in una forma di spettacolo di massa
(132): lo sport, il football non erano più semplici giochi, ma vere e proprie rappresentazioni che muovevano complesse dinamiche sociali ed economiche. La specifica funzione di propaganda, cui avrebbero dovuto assolvere gli stadi nella concezione fascista, si riferiva propriamente a questo aspetto dello sport: controllare simili dinamiche, infatti, costruendo i luoghi dove tali spettacoli sarebbero stati inscenati, attribuendo loro immagini, simboli, finanche elementi coreografici associati al fascismo, avrebbe permesso al regime di fare degli stadi una parte essenziale della propria politica di formazione del consenso per mezzo di una completa fascistizzazione del tempo libero delle masse e nello stesso tempo di creare un forte senso d’identità nazionale (133).

Verso uno stadio moderno

Il 15 ottobre 1929 il Prefetto rese noto per mezzo di una circolare che il Ministero dell’Interno aveva dato il nulla osta a che i Comuni provvedessero ai campi polisportivi «rispondenti al vasto ed organico programma che il Governo intende[va] attuare per l’educazione fisica e spirituale della gioventù»
(134). Dal momento che lo stadio “Walter Branchi” mancava di tribune, «le quali sono necessarie ed indispensabili in ogni Campo polisportivo per esigenze e per comodità del pubblico che vi accede, tornano di vantaggio finanziario ed a sollievo dell’esercizio del Campo coi proventi che si possono ricavare pei maggiori prezzi fissati» (135), il 23 ottobre del 1929 il Podestà deliberò di indire un appalto per la costruzione di tribune in cemento armato della capacità di mille posti a sedere (136).

Fra i progetti delle tre ditte che si presentarono al concorso, una Commissione appositamente creata dal Comune decise di optare per quello della Ditta Ing. Nobile di Bologna, definitivamente approvato da una delibera del Podestà il 30 aprile 1930
(137). Il 15 dicembre 1931, con un ritardo di circa un mese rispetto alle previsioni, i lavori che alfine attrezzarono lo stadio di Parma di una tribuna in cemento armato con una tettoia di ferro furono ultimati (138).

Il 7 dicembre 1931 il Podestà aveva deliberato l’autorizzazione dei lavori di costruzione della pista podistica e sistemazione di quella ciclistica
(139). Come affermava il «Corriere Emiliano» nel maggio del 1932, la pista podistica sarebbe stata presto una realtà (140). Essa, «con sviluppo normale e sopraelevazioni, [era] in terra battuta e [sarebbe stata] ricoperta di catrame» (141). Nonostante le aspettative, la pista podistica non fu costruita, quella ciclistica rimase uguale a prima. Tant’è vero che nel settembre del 1932, ossia a lavori ultimati, Bruno Lunardi firmava sulle pagine del «Corriere Emiliano» un articolo piuttosto indicativo della situazione dello sport parmense in relazione ai suoi mezzi:

Sono molti anni […] che lo sport fascista è in cammino ascensionale, di campi sportivi se ne sono inaugurati in tutte le città e in tutti i piccoli centri abitati d’Italia, il soffio vivificatore che parte dalla Città Eterna ha portato al trionfo olimpionico un modesto atleta d’Italia, e a Parma non si è arrivati ancora a costruire non dico uno stadio ma una semplice pista in terra battuta per i podisti. […] Il campo c’è, è vero, e c’è anche la traccia di una pista, ma in questo benedetto polisportivo di utilizzabile v’è soltanto la magnifica nuova tribuna e appena appena l’area di gioco la quale pure avrebbe bisogno di molte riparazioni. Ma appunto perché vi è già una grandiosa base d’impianto noi ci domandiamo come non si riesca ad accantonare la modesta somma necessaria per mettere in efficienza un anello in terra battuta, una palestra ginnastica, una pedana per i lanci ed un’altra per i salti (142).

Alle soglie del 1933, insomma, quel «benedetto » stadio “Walter Branchi” era tutt’altro che attrezzato, completo: di utilizzabile, lo affermava Bruno Lunardi, v’erano soltanto le tribune e a malapena il terreno di gioco. Se, poco lontano da Parma, una città come Bologna costruiva attorno al proprio stadio, grandioso, monumentale, romano e allo stesso tempo moderno ed efficiente, un forte senso d’identità  un ambizioso progetto di affermazione non solamente nazionale, ma anche internazionale, lo stesso non si poteva con ragione affermare per Parma.  Più di due anni più tardi, il 25 febbraio 1935,

ritenuto che fin dal 1932 le Società sportive cittadine fecero voti […] perché nel Campo Polisportivo “Walter Branchi” venissero create due piste, una ciclistica e l’altra podistica, al fine di poter promuovere un’attività nel campo atletico e ciclistico che la mancanza di dette piste impediva di sviluppare; ritenuto che il relativo progetto, allestito per incarico dell’OND che aveva anche allora la gestione del campo, e successivamente attuato, risultò all’atto pratico non rispondente allo scopo, tanto che si previde senz’altro che l’una o l’altra delle due piste – e più precisamente la ciclistica – doveva essere sacrificata per avere così la possibilità di creare la sola pista podistica, così come si verificava nei più noti e moderni campi nazionali (143),

il Podestà deliberò l’approvazione del progetto dei lavori di costruzione di una pista podistica nello stadio “Walter Branchi”. Secondo quanto stabiliva il capitolato d’appalto, i lavori, consegnati nel marzo del 1935, furono ultimati due mesi più tardi (144). Tuttavia, il collaudo della pista avvenne nel luglio del 1936 poiché, nel frattempo, furono necessari ulteriori interventi non previsti nel progetto originario (145).

Nell’estate del 1936, dunque, la struttura che nelle intenzioni dei dirigenti fascisti avrebbe dovuto sostenere la febbre sportiva che si era accesa a Parma non poteva più essere considerata, per utilizzare le parole di Turati, un semplice appezzamento di terreno. Sebbene fosse ancora molto lontano dal somigliare ai grandiosi stadi di città come Bologna, Roma, Torino e Firenze, né mai vi avrebbe somigliato nel corso degli anni successivi, il “Walter Branchi” andava lentamente assumendo i tratti caratteristici di una struttura moderna. Se lo sport era quintessenza del Fascismo, forse, grazie a essa, lo sarebbe stato anche a Parma. Oppure, forse, era già troppo tardi. È fuor di dubbio, in effetti, che il 1936 rappresenti un tornante decisivo non soltanto per la politica sportiva del regime o per il suo interesse nei confronti dello sport, ma anche, più in generale, per la stessa politica interna e internazionale della dittatura fascista. Da quel momento, se anche non vi sarebbe stato un netto abbandono dello sport in quanto strumento di propaganda nazionalista all’estero (146), il regime avrebbe impegnato altrove le proprie energie: più precisamente, nella costruzione dell’Impero, nella guerra di Spagna e nella realizzazione di una vera e propria politica di potenza (147).
 
Nel gennaio del 1938, dietro sollecitazione del CONI che aveva invitato l’amministrazione comunale a rendere completa l’attrezzatura del campo, l’Ufficio Tecnico trasmetteva al Podestà una relazione per la costruzione delle pedane (148). La sua autorizzazione, giunta due mesi più tardi, avrebbe dato avvio alla definitiva sistemazione del campo polisportivo di Parma, sulla via del completamento di uno stadio che poteva ormai considerarsi un impianto moderno (149): per il gennaio del 1939, infatti, i lavori di costruzione delle pedane per i salti e per i lanci furono ultimati (150), a conclusione di un processo di modernizzazione che era iniziato nel 1930 con la costruzione delle tribune. Così, circa quindici anni dopo la sua costruzione, il “Walter Branchi” era infine pronto per accendere quella febbre sportiva che trovava alimento purissimo nel sentimento di nazionalità. Nel 1939, tuttavia, la catastrofe era ormai alle porte e il regime fascista aveva ben altro a cui pensare. Nella concezione fascista, del resto, nell’organizzazione e nella fascistizzazione dello sport durante gli anni del regime, lo «sport di massa» non fu che un mezzo, uno strumento al servizio dello stato totalitario: della sua ideologia, della sua propaganda, della sua esigenza di fare degli italiani degli uomini nuovi, dei soldati valorosi, forti nel fisico e nella mente, campioni della «razza latina». Alle soglie del secondo confl itto mondiale era giunto il momento di mettere le carte in tavola e verificare se nella sostanza tutto questo aveva funzionato oppure se, viceversa, non era stata che mera retorica. Era giunto il momento, insomma, di passare in modo definitivo dai campi sportivi ai campi di battaglia. Pensieri ben più gravi dello sport di massa, da quel momento, avrebbero impegnato il regime, i suoi dirigenti, il suo capo.

NOTE

1. Vita nuova! Raul Forti commissario unico!!!, «Corriere Emiliano », 22 agosto 1926. Grazie all’opera di Forti, «l’attività sportiva risorgerà sotto le insegne del Littorio e Parma riavrà, ne siamo certi, la sua fede, la sua passione, la sua giovinezza splendente di vita, nello sport che tempra il popolo italiano nelle vicissitudini di domani».

2. F. MUZI, Gli Enti Sportivi Provinciali Fascisti ed i loro compiti, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 1° settembre 1929.

3. La Coppa “Birra Wuhrer” per bar e caffè, «Gazzetta di Parma», 8 maggio 1925.

4. V. DE GRAZIA, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del Dopolavoro, Roma-Bari, Laterza, 1982, p. 201.

5. Nuove mete sportive. Il gioco della volata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 29 dicembre 1928.

6. Ibidem.

7. Il Dopolavoro provinciale ed il gioco della volata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 10 gennaio 1929.

8. Il torneo di volata per la Coppa Martini e Rossi, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 9 luglio 1929.

9. Lo sportivo che protesta. E la volata?, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 17 maggio 1930.

10. Cfr. Torneo estivo di volata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 11 luglio 1931; Volata, Gran Coppa Distillerie Frassinetti, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 6 agosto 1931.

11. «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 29 giugno 1932.

12. Cfr. S. CAVAZZA, Piccole Patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 171-217; pp. 245-252.

13. TETEREF, Podismo. Occorre svegliarsi!, «Gazzetta di Parma», 14 dicembre 1927; Sport fuori stagione: ciclismo, «Gazzetta di Parma», 19 novembre 1927.

14. Uno sport che va imponendosi a Parma: la boxe, «Gazzetta di Parma», 17 dicembre 1927.

15. Per la volontà dell’E.P.F.S. il nostro ippodromo sarà a primavera riaperto allo sport ippico, «Corriere Emiliano», 19 gennaio 1928. Il 4 giugno, in occasione delle corse al trotto, «l’Ippodromo [era] tutto uno svolio di bandiere tricolori» e «nell’intermezzo fra una gara e l’altra la banda del Riformatorio attacca[va] una marcia di tipo militare. [...] Altro che football e che corse a piedi: questo è sport!» (La prima riunione delle corse al trotto coronata dal lieto successo, «Corriere Emiliano», 5 giugno 1928).

16. Relazione di Remo Ranieri sulle nuove direttive dello sport parmense in seguito alla promulgazione della “Carta dello Sport”, tenuta nella sala della Federazione Fascista il 30 dicembre 1928 (riportata in L’adunata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 1° gennaio 1929).

17. Ibidem.

18. Ibidem.

19. Ibidem.

20. N. BOCCHI, L’on. Remo Ranieri – assumendone il comando – ha detto ieri alla classe dirigente i compiti e le mete dello sport parmense, «La Fiamma. Corriere del Lunedì», 31 dicembre 1928, I, n. 13, p. 4.

21. Borgotaro e Salsomaggiore sede di due gare sciatorie, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 30 gennaio 1929; Borgo val di Taro vedrà un’eccezionale gara di uomini e di squadre, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 17 febbraio 1929; U. C., Nella ospitale Corniglio, consacrato allo sport G. Spaggiari vince la gara più difficile dell’annata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 18 marzo 1929.

22. A. TURATI, Per gli sports diseredati, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 13 luglio 1929.

23. V. POLETTI, Sviluppo dello sport parmense nelle direttive dell’Ente Provinciale Sportivo, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma»,   giugno 1929: «I quattro quinti degli sportivi [...] tutti intenti ad adorare, non avendo occhi che per esso, questo anzi che noegoistico “dio foot-ball”: succede per esempio, che qualche sport (foot-ball, foot-ball!) polarizzando attorno a sé il quasi totale interessamento di cultori e appassionati, confina ingiustamente in penombra tante altre utili e pur interessanti attività, solo perché queste non possiedono come quello, le peculiari caratteristiche di faziosità che sono purtroppo la molla più sicura atta a garantire il successo di un avvenimento sportivo».

24. Gli Enti sportivi provinciali soppressi dal Segretario del Partito, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 15 gennaio 1930.

25. Cfr. A. PARBONI, L’organizzazione sportiva fascista, in L’Italia turistica e sportiva, Firenze, AESTI, 1930, p. 697 e F. FABRIZIO, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936, Firenze, Guaraldi, 1976, p. 43.

26. B. LUNARDI, Due centurie di ciclisti gareggiando oggi da Parma a Salso segnano l’inizio di una nuova attività, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 2 settembre 1928.

27. Ibidem.

28. Ibidem.

29. La grande manifestazione ciclistica a squadre da Parma a Salsomaggiore, «Corriere del Lunedì. A noi!», 3 settembre 1928, III, n. 32, p. 4.

30. Ibidem.

31. Ibidem.

32. Cfr. Carta dello Sport, riportata in F. FABRIZIO, Sport e fascismo… cit., pp. 39-42.

33. Dopolavoro e sport, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 14 giugno 1932.

34. L’adunata per i brevetti atletici del Dopolavoro, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 agosto 1929.

35. Ibidem.

36. La staffetta podistica del Dopolavoro riuscirà una appassionante manifestazione interprovinciale, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 25 febbraio 1930.

37. Lo sport club Principe vittorioso nella VII traversata di Parma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 18 settembre 1932.

38. Ibidem.

39. Ibidem.

40. Nel marzo del 1931 il «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma» sosteneva che «lo sport dello sci ha fatto progressi insperati nelle file degli sportivi cittadini e della provincia» (Oltre una centuria di sciatori disputa oggi il campionato provinciale, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 8 marzo 1931: «La gara dice più che eloquentemente quale è il valore di questa propaganda iniziata pochi anni or sono. Qualche anno fa, l’on. Ranieri fattosi caldeggiatore e propugnatore di questa attività che contava su un piccolo nucleo di appassionati dava il via alle prime animose pattuglie che calzavano gli ordegni alpinistici. Da allora ad oggi questo sport [...] trionfa. [...] È la massa che conta»). L’anno successivo, secondo il quotidiano, esso aveva «una schiera di fedeli che promette[va] di ingrossarsi vieppiù!» (Lo sport dello sci, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 24 marzo 1932): in effetti, «sotto la vigile opera del Fascismo [...] anche a Parma si [era] fatto parecchio cammino» (Vivace battaglia sciatoria per il campionato di mezzo fondo, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma»; 6 marzo 1932: «Lo sport della neve ha camminato rapidamente e si è diffuso tra le masse locali [...]. Pensando a queste adunate, ci si domanda come mai pel passato si sia perduto tanto tempo prezioso, per mancanza di propaganda»).

41. M. G., Falangi giovanili sui campi nevosi, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 7 gennaio 1932: «Noi crediamo che la passione per l’escursionismo, e in ispecie quello sciistico, d’oggidì, considerata nella sua intima essenza, e nel sentimento da cui trae origine, sia anch’essa un evidente sintomo dello spirito dell’italiano nuovo. [...] Il Fascismo è maschio, ama il pericolo».

42. Lo Sci Club Parma e la necessità di un campo invernale, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 12 novembre 1932.

43. Ibidem.

44. Trecento sciatori inaugureranno domani il campo di Schia, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 gennaio 1933.

45. Ibidem.

46. Trecento sciatori inaugureranno domani il campo di Schia, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 gennaio 1933. Cfr. anche M. G., Una giornata di passione sciatoria a Schia, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 14 marzo 1933: «Qualche anno fa, erano ben pochi coloro che avrebbero creduto in una rapida e così meravigliosa diffusione di questo magnifico sport. Ebbene, in breve volger di tempo, abbiamo potuto assistere ad un meraviglioso e brillante progresso».

47. Primo raduno invernale auto-sciatorio a Ponte di Legno e Passo Tonale, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 18 febbraio 1931.

48. Le prime iscrizioni all’8° campionato automobilistico dell’AC di Parma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 10 maggio 1931.

49. Ibidem.

50. Si disputa oggi l’8° Campionato Automobilistico Provinciale, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 17 maggio 1931. Occorre sottolineare, ad ogni modo, come non tutte le corse organizzate dall’Automobile Club di Parma avessero uno scopo prevalentemente turistico. A differenza del campionato provinciale, ad esempio, la Parma-Poggio di Berceto, che pure si svolgeva lungo le strade dell’Appennino, portava «il suo contributo per il progresso dell’industria automobilistica del paese» (cfr. Alla vigilia della IX Parma-Poggio di Berceto, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 20 maggio 1933). Si trattava di una gara nata nel 1913 per iniziativa della società Pro-Parma, in occasione del centenario verdiano, quando si volle un avvenimento sportivo accanto alle manifestazioni musicali e industriali. Gli anni del dopoguerra consacrarono la Parma-Poggio di Berceto tra le più importanti corse automobilistiche del calendario nazionale, un dato confermato dal prestigioso albo d’oro del periodo: Ascari, Campari e Brilli Peri sono solo alcuni dei nomi dei vincitori. A partire dal 1925 corse più ricche allontanarono da Parma gli assi del volante e la Parma-Poggio di Berceto chiuse i battenti. Nel 1933, tuttavia, «nel pieno rigoglio sportivo impresso alla Nazione da undici anni di Fascismo» (cfr. G. DOVARA, In attesa della Parma-Poggio di Berceto, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 febbraio 1933), l’AC decise di patrocinare nuovamente la manifestazione. Così, «la Parma-Poggio di Berceto è rinata [...] sotto l’emblema del Fascio Littorio, simbolo indefettibile di forza, di coesione, che a distanza di millenni torna a rifulgere al sole d’Italia» (cfr. Il successo della classica prova, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 maggio 1933).

51. La manifestazione ciclo-turistica del 21 giugno organizzata dal Dopolavoro (col patrocinio del “Corriere Emiliano”), «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 30 maggio 1931.

52. Ibidem.

53. Il magnifico successo del Raduno di Tizzano, «Corriere Emiliano-Gazzetta di
Parma», 30 agosto 1932.

54. G. GONIZZI, I luoghi della storia, Atlante topografico parmigiano, III, Parma, PPS Editrice, 2002, pp. 178-187. L’edificio è oggi sede del Teatro Due, mentre la piscina è stata trasformata in un parcheggio.

55. Cfr. S. E. Renato Ricci inaugurerà oggi la “Casa dei Balilla”, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 ottobre 1934; La sfilata di 6000 giovanissimi davanti a Renato Ricci, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 21 ottobre 1934; S.E. Renato Ricci inaugura la “Casa dei Balilla”, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 23 ottobre 1934. Cfr. inoltre G. GONIZZI, I luoghi della storia… cit., pp. 188-197: l’edificio della “Casa dei Balilla” conserva ancora oggi la struttura architettonica originaria, tipica dell’età fascista; in esso trovano sede il Cinema Astra e la scuola media inferiore “Don Cavalli”; la piscina, nota come Piscina di Viale Rustici o Piscina del CONI, è stata definitivamente chiusa nel 1999 e recentemente riaperta come centro benessere.

56. Cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo… cit., p. 84. Come ebbe a sostenere l’ispettore generale dei Balilla della città, il compito primario dell’Opera consisteva nell’«organizzazione delle schiere giovanili» in vista della creazione di «quelle meravigliose generazioni, sane di corpo e di mente, che [sarebbero state] l’orgoglio e la potenza delle Nazioni imperialistiche» (G. DE TURRIS, Per l’organizzazione delle schiere giovanili, «Gazzetta di Parma», 28 aprile 1926). L’ONB avrebbe dovuto, in sostanza, «educare l’infanzia al culto della Patria attraverso graduali insegnamenti [...] di alto senso patriottico» e nello stesso tempo «curare il corpo [dei giovani atleti] attraverso uno sviluppo razionale» (ibidem). Precisamente, ciò che la distingueva rispetto ai precedenti sistemi educativi era il fatto che l’educazione fisica venisse finalmente concepita come parte integrante del processo di formazione della gioventù, cresciuta «nel culto della nazione e del fascismo»: «così, nel segno del Littorio», essa si sarebbe potuta incamminare «verso quelle mete fissate dal Duce per il raggiungimento dell’ideale tanto sognato: l’impero fascista» (M., L’Opera Nazionale Balilla e l’atletica, «La Fiamma. Corriere del Lunedì», 19 novembre 1928, anno I, n. 7, p. 3). A tale scopo, secondo la Carta dello Sport, «palestre e campi sportivi di enti e associazioni [avrebbero dovuto] essere messi a disposizione dell’Opera Balilla» (cfr. Carta dello Sport, riportata in F. FABRIZIO, Sport e fascismo…cit., pp. 39-42). In realtà, Parma non disponeva né delle palestre né dei campi sportivi necessari per rendere effettive le disposizioni del documento. E se questa era la situazione della città, le possibilità materiali nei piccoli centri della provincia apparivano ancor più limitate: nelle scuole di Paroletta e di Albareto, ad esempio, la completa mancanza di palestre e campi sportivi costringeva gli alunni a svolgere quei pochi e rudimentali esercizi che avrebbero dovuto costituire «lo sviluppo razionale» del corpo dei giovani atleti, nel corridoio che divideva le uniche due stanze dell’edificio (devo le seguenti informazioni a una serie di interessanti colloqui con alcuni testimoni dell’epoca). A fronte di queste difficoltà nel diffondere l’educazione fisica nelle scuole, ciò che più caratterizzò l’azione dell’Opera Balilla in vista dell’organizzazione sportiva delle schiere giovanili furono le manifestazioni ginniche di fine anno, il cui aspetto principale era quello dell’educazione patriottica della gioventù subordinatamente alle esigenze militari del regime. Nel settembre del 1937, gli Avanguardisti parmensi di ritorno dal campo Dux, un raduno ginnico-militare, poco ginnico e molto militare che si svolgeva ogni anno a Roma, attraversarono la città «tra l’ammirazione profonda dei cittadini che [...] accorrevano a rendere omaggio ai futuri, magnifici soldati della nuova Italia Imperiale» e si fermarono in via Mameli per onorare la «lapide dei caduti fascisti, che col sangue vollero e auspicarono quest’Italia guerriera» (Gli avanguardisti parmensi sono tornati ieri mattina dall’Urbe, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 15 settembre 1937).

57. B. LUNARDI, Sport goliardico, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 23 ottobre 1928.

58. Circolare di Giovanni Giuriati del 15 novembre 1930, riportata in L’ordinamento dei Gruppi Universitari Fascisti, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 16 novembre 1930: «Anche lo sport deve essere mezzo, nobilissimo mezzo, ma non fine».

59. Uno sport sconosciuto in Italia. Il rugby, «Gazzetta di Parma», 7 ottobre 1927.

60. Il rugby. Uno sport maschio, «La Fiamma. Corriere del Lunedì», 19 novembre 1928, anno I, n. 7, p. 3.

61. Ibidem.

62. Ibidem.

63. In Archivio Storico dell’Università di Parma (d’ora in avanti ASUP), Annuario della Regia Università di Parma 1934-35 – XIII Era Fascista, Inaugurazione dell’anno accademico (15 novembre 1934), Relazione del segretario del Gruppo Universitario Fascista.

64. Il GUF di Parma campione italiano di Rugby di 1a divisione, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 18 giugno 1935. Cfr. inoltre la “Relazione del segretario del Gruppo Universitario Fascista” nella cerimonia di “Inaugurazione dell’anno accademico (10 novembre 1935)”, in ASUP, Annuario della Regia Università di Parma 1935-36 – XIV Era Fascista: «La sezione Rugby è quella che ha dato la maggiore soddisfazione, ed un plauso particolare deve essere rivolto ai tenaci atleti componenti la squadra, che non solo hanno vinto il proprio girone ai Littoriali in modo superbo, ma hanno conquistato con volontà e ardore ammirevoli il titolo ambìto di Campioni Italiani assoluti di 1a Divisione».

65. Cfr. Giornata di ardente Fede Fascista della gioventù universitaria di Parma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 15 novembre 1938.

66. In ASUP, anno 1939, cartella (d’ora in avanti c.) 1372, sottocartella (d’ora in avanti s.) 5, s. 5/9: «Nell’imminente ripresa dei lavori per la definitiva sistemazione della Casa dello Studente mi permettoSi tratta di un campo da tennis e di un campo di pallacanestro. L’attrezzatura cittadina in questi due settori è del tutto insufficiente e la pratica di questi due sport per la partecipazione del nostro GUF ai Littoriali, richiede l’intervento di elementi esterni che per ovvie ragioni vengono ad incidere sensibilmente sul nostro bilancio annuale senza che per questo sia raggiunto lo scopo della nostra organizzazione che è precisamente quello di sport di massa e di sport di propaganda. Ho già lavorato a questo fine ed ho ottenuto dal Comune di Parma la cessione dell’appezzamento di terreno sottostante la Cittadella».

67. Cfr., a questo riguardo, il simpatico episodio narrato da Gianni Clerici in 500 anni di tennis, Milano, Mondadori, 2004, p. 241: «Il favore del duce giovò certamente al tennis, anche se egli non diventò mai un discreto giocatore: era impetuoso, attaccava, aveva un discreto diritto, come testimoniano il suo fido Eraldo Monzeglio, e alcuni vecchi spezzoni dell’Istituto Luce. Ma una volta che Belardinelli, uno dei suoi allenatori, si azzardò a suggerirgli: “Vogliamo provare con il rovescio, eccellenza?”, il duce lo fulminò con una guardataccia: “Noi tireremo diritto” affermò, lapidario».

68. Il primo campionato di tennis del Tennis Club di Parma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 28 maggio 1931: «In fatto di tennis, Parma è una delle città dove questo sport si è sviluppato pochissimo».             

69. Il secondo campionato sociale del Tennis Club di Parma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 29 maggio 1932: «Parma, in questo campo, non è certamente in una posizione d’avanguardia nei confronti delle consorelle emiliane».

70. Cor., Tennis, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 17 gennaio 1933.

71. Ibidem.

72. “Relazione del segretario del Gruppo Universitario Fascista” nella cerimonia di “Inaugurazione dell’anno accademico (13 novembre 1938)”, in ASUP, Annuario della Regia Università di Parma 1938-39 – XVII Era Fascista.

73. Il tennis: sport per tutti, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma », 11 maggio 1937.

74. Ibidem.

75. U. B., Tennis… sogno di tanti giovani, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 12 giugno 1937.

76. Ibidem.

77. “Relazione del segretario del Gruppo Universitario Fascista” nella cerimonia di “Inaugurazione dell’anno accademico (12 novembre 1939)”, in ASUP, Annuario della Regia Università di Parma 1939-40 – XVIII Era Fascista.

78. Dopo il secondo campionato di scherma, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 13 febbraio 1931: «Il numero degli iscritti se pur superiore a quello dell’anno scorso è ancora troppo esiguo per una città come Parma. In verità questo sport così popolare nelle altre parti d’Italia, merita di essere più conosciuto ed apprezzato nella nostra città».

79. Cfr. per esempio la “Relazione del segretario del Gruppo Universitario Fascista” nella cerimonia di “Inaugurazione dell’anno accademico (12 novembre 1939)”, in ASUP, Annuario della Regia Università di Parma 1939-40 – XVIII Era Fascista.

80. Circolare di Achille Starace ai segretari dei GUF, «Il Ginnasta», 1936, n. 6, riportata in F. FABRIZIO, Sport e fascismo… cit., p. 99.

81. SE il Prefetto e il V. Federale inaugurano ufficialmente gli Agonali dello Sport dell’anno XIV, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma », 31 marzo 1936.

82. F. FABRIZIO, Sport e fascismo… cit., p. 97.

83. Gruppi Universitari Fascisti, I Littoriali di Bologna. 1-8 maggio X, Roma, Grafia S.A.I. Industrie Grafiche, 1932, in ASUP, a. 1932, c. 1145, s. 1, s. 1/10.

84. Lettera del Rettore dell’Università di Parma al Comitato Ordinatore, 17 novembre 1925, in ASUP, a. 1925, c. 985, s. 2, s. 2/10.

85. La serenità della forza, «Corriere del Lunedì. A noi!», 27 agosto 1928, III, n. 31, p. 1.

86. N. BOCCHI, A Parigi lo sport serve ancora una volta a difendere l’Italia Fascista, «Corriere del Lunedì. A noi!», 27 agosto 1928, III, n. 31, p. 4.

87. La serenità della forza… cit., p. 1.

88. Ibidem.

89. Circolare n. 9693 del Ministero dell’Educazione Nazionale ai Rettori delle Università, 7 giugno 1933, in ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

90. In ASUP, a. 1933, c. 1173,as. 1,as. 1/10.

91. Circolare di Achille Starace, n. 18, 7 luglio 1933 – XI, ai segretari dei GUF di Bari, Bologna, Cagliari, Camerino, Catania, Ferrara, Firenze, Genova, Macerata, Messina, Milano, Modena, Napoli, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma, Sassari, Siena, Torino, Trieste, Urbino, Venezia; e per conoscenza a SE il Ministro dell’Educazione Nazionale, ai Magnifici Rettori delle Regie Università e ai signori Podestà delle città sedi di Università, in ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

92. Ibidem.

93. Direttiva dei Gruppi Universitari Fascisti, 11 agosto 1933 – XI, in ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

94. Ibidem.

95. Cfr. E. GENTILE, Il culto del Littorio…, cit., pp. 156-161.

96. Ivi, pp. 50; 141-142.

97. Direttiva dei Gruppi Universitari Fascisti, 11 agosto 1933 – XI, in ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

98. Ibidem.

99. In ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

100. Ibidem.

101. Lettera della Ditta Egisto Peruzzi all’Economato della Regia Università di Parma, 29 agosto 1933, in ASUP, a. 1933, c. 1173, s. 1, s. 1/10.

102. Sull’invenzione degli elementi coreografici nelle rievocazioni medievali durante il fascismo cfr. S. CAVAZZA, Piccole Patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 198-207.

103. Ivi, pp. 216-217.

104. P. DOGLIANI, L’Italia fascista, Milano, Sansoni, 1999, p. 147.

105. N. ZAPPONI, Il partito della gioventù. Le organizzazioni giovanili del fascismo 1926-1943, «Storia Contemporanea», XIII, n. 4/5,
1982, p. 613.

106. Relazione di Guerrino Calzolari, riportata in Il Gran Rapporto dei Comandanti i Fasci Giovanili, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 25 gennaio 1931.

107. Z. RINO GUERRI, La boxe: sport di combattimento!, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 2 aprile 1931: «Questo sport possiede ancora seri nemici negli apatici, nei timidi, nei vili e nel sesso debole [...]. Certamente sono più carini, più graziosi il ping pong o table tennis, il golf da giardino, il football da tavola, e se vogliamo aggiungere il gioco degli scacchi e altri simili giochi [...] classificati come contese propriamente sportive che, per l’infl uenza di qualche pezzo grosso, si sono creati una regolare federazione, debitamente riconosciuta, e si permettono il lusso di vedere pubblicate le fotografie dei loro campioni sugli organi sportivi, in eleganti e coreografiche tenute sportive, col bel sorriso alla Menjou e la pettinatura alla Valentino [...]. E da quella “robusta” categoria di atleti da camera partono cattivi frizzi, parole ironiche e di biasimo all’indirizzo degli sport violenti (?) [...] Incompetenti, ignoranti, evirati, effemminati, aprite gli occhi e gettate alle ortiche quella vostra malsana apatia!».

108. Ibidem.

109. Cfr. per esempio «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», luglio 1933.

110. Nel nome del Duce 130 giovani campioni rappresentanti tutte le provincie d’Italia hanno dato vita ai primi combattimenti eliminatori, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 16 febbraio 1938.

111. Sulla funzione dei monumenti nazionali come componenti vitali del culto nazionale e della «nuova politica» intesa come religione laica, cfr. G.L. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), Bologna, il Mulino, 2004, pp. 80-113; cfr. inoltre E. GENTILE, Il culto del Littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 209-232.

112. Parma fucina di pugilatori e fecondo campo organizzativo, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 11 gennaio 1938.

113. Saluto agli atleti, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 16 febbraio 1938.

114. Nel 1937 le forze giovanili del fascismo vennero unificate nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio), che ereditò il motto «Credere, Obbedire, Combattere» dai Fasci Giovanili.

115. Nel nome del Duce 130 giovani campioni rappresentanti tutte le provincie d’Italia hanno dato vita ai primi combattimenti eliminatori, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 16 febbraio 1938.

116. Sull’Istituto Luce cfr. per esempio P. DOGLIANI, L’Italia Fascista… cit., pp. 366-370.

117. Sport di masse. L’attività del Comando Federale dei FF. GG., «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 9 febbraio 1937.

118. Ibidem. Cfr. anche Significato di un successo, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 31 luglio 1934: «È ormai entrato nel concetto generale che l’attività sportiva fascista si identifica con l’attività sportiva di massa».

119. Cfr. E. GENTILE, Il culto del Littorio… cit., pp. 177-232 e, in particolare, pp. 209-232.

120. S. MARTIN, Football and Fascism. The national game under Mussolini, Oxford, Berg, 2004, pp. 79-80.

121. Lo stadium comunale, «Il Piccolo del Corriere Emiliano», 8 marzo 1926, II, n. 10, p. 3.

122. Deliberazioni del Podestà, 18 luglio 1929, in Archivio Storico Comunale di Parma (d’ora in avanti ASCPR). Cfr. inoltre “Progetto dei lavori da eseguirsi nel campo polisportivo Walter Branchi”, Ufficio Tecnico, 18 novembre 1928, in ASCPR, Carteggio Comunale Postunitario (d’ora in avanti CCP), a. 1933, busta (d’ora in avanti b.) istruzione, fascicolo (d’ora in avanti f.) educazione fisica-sport.

123. Deliberazioni del Podestà, 18 luglio 1929… cit.

124. Lettera dell’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico del Comune di Parma al Podestà, 20 giugno 1931, in cui si parla di un sopralluogo per la ricostruzione delle tribune abbattute dal vento nel 1929, in ASCPR, CCP, a. 1931, b. istruzione-militare-polizia, f. educazione fisica-sport.

125. In ASCPR, CCP, a. 1929, b. istruzione, f. educazione fisica-sport.

126. Podestà al Prefetto, 11 novembre 1929, in ASCPR, CCP, a. 1929, b. istruzione, f. educazione fisica-sport.

127. E. GENTILE, Il culto del Littorio… cit., p. 209.

128. Ibidem.

129. Ivi, pp. 177-232.

130. Ivi, p. 156.

131. Lo stadium comunale, «Il Piccolo del Corriere Emiliano», 8 marzo 1926, anno II, n. 10, p. 3.

132. S. MARTIN, Football and Fascism… cit., p. 80.

133. Ivi, pp. 104-108.

134. Deliberazioni del Podestà, 23 ottobre 1929, in ASCPR. La circolare cui si fa riferimento è la n. 19094 Siv. 2-1.

135. Ibidem.

136. Ibidem.

137. Deliberazioni del Podestà, 30 aprile 1930, in ASCPR.

138. “Collaudo dei lavori di costruzione della tribuna in cemento armato al campo polisportivo”, in ASCPR, CCP, a. 1933, b. istruzione, f. educazione fisica-sport. Cfr. inoltre Deliberazioni del Podestà, 23 novembre 1931 e 18 marzo 1933, in ASCPR.

139. Deliberazioni del Podestà, 7 dicembre 1931, in ASCPR.

140. L’attrezzamento del Campo Polisportivo. La pista podistica sarà fra breve ultimata, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 11 maggio 1932.

141. Ibidem.

142. B. LUNARDI, Necessità di aiutare l’atletica, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 27 settembre 1932.

143. Deliberazioni del Podestà, 25 febbraio 1935, in ASCPR.

144. “Verbale di visita, relazione e certificato di collaudo”, 18 luglio 1936, redatto dall’impresa costruttrice, dalla direzione dei lavori e dall’ingegnere collaudatore, in ASCPR, CCP, a. 1939, b. istruzione, f. sport.

145. Ibidem. Sulla conclusione dei lavori cfr. anche “Proposta del capo dell’ufficio segreteria”, in ASCPR, CCP, a. 1939, b. istruzione, f. sport e Deliberazioni del Podestà, 19 agosto 1936, in ASCPR.

146. In questo senso la strumentalizzazione propagandistica della vittoria della nazionale italiana di calcio nel Campionato del Mondo del 1938 e, nello stesso anno, del trionfo di Bartali al Tour de France, rappresenta un valido esempio di come il regime, superato il tornante del 1936, continuasse a considerare lo sport «un’ambasceria stupenda d’italianità» (L. PASSERINI, Italo Balbo ritorna, «Corriere Emiliano-Gazzetta di Parma», 19 febbraio 1931).

147. P. DOGLIANI, L’Italia fascista… cit., p. 176.

148. In ASCPR, CCP, a. 1939, b. istruzione, f. sport.

149. Deliberazioni del Podestà, 28 marzo 1938, in ASCPR.

150. Deliberazioni del Podestà, 23 gennaio 1939, sulla “liquidazione delle forniture e dei lavori di costruzione delle pedane”, in ASCPR; cfr. inoltre ASCPR, CCP, a. 1939, b. istruzione, f. sport.

 
 
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